Giacomo Leopardi e il progetto delle "Opere"

2.11. L’inizio e la fine delle "Operette morali"

Nell’edizione definitiva, le Operette morali contano ventiquattro prose, apparentemente slegate tra loro. L’edizione che qui è riprodotta ne conta 13, trattandosi del primo di due volumi dell’opera, l’unico, a causa della censura, che ha visto la luce.

Le Operette morali non sono propriamente un macrotesto, ma la collocazione della prima e dell’ultima operetta è significativa.

La Storia del genere umano è l’operetta che, in tutte le edizioni, apre l’opera (oltre ad essere anche la prima che Leopardi ha scritto) e che racconta in una prospettiva mitica e allegorica le vicende dell’umanità, segnate dalla disperata ricerca della felicità.

La Storia, raccontata da Leopardi, non è un dialogo, come la maggior parte delle prose che seguirà, ma è posta lì a mo’ di prologo, come testo fondativo a cui «le operette successive, in modo più o meno evidente, sono collegate» (Bellucci 2024, p. 3).

Per questa ragione sarà bene soffermarvisi un poco:

è una storia divisa per fasi, la prima età descrive, in contrasto con la narrazione biblica, gli uomini creati tutti insieme (decostruendo l’unicità di Adamo) e tutti fanciulli. La loro felicità rende il cielo e la terra bellissimi al loro sguardo, uno sguardo non stancato dall’assuefazione. Dunque il libro si apre con una felicità, che viene ben presto guastata, da una “mutazione”, guastata dal sopraggiungere della “Verità”, anche se consolata da «quel fantasma che essi [gli uomini] chiamano Amore».

Si vede già la cifra ironica che caratterizzerà tutto il libro: si nota la riscrittura parodica della genesi biblica, ma allo stesso tempo, a conferma di quanto Leopardi scrive in una lettera all’editore Stella, parlando delle Operette, quella leggerezza è solo apparente, perché qui emerge chiaramente il portato filosofico che si ritroverà poi in ogni operetta.

L’esemplare qui conservato termina con l’operetta Il Parini, ovvero della gloria, che non è la vera conclusione del libro, perché, come si è detto, all’edizione napoletana manca tutta la seconda metà delle Operette perché il vol. III delle Opere fu bloccato prima dalla censura.

La prima edizione delle Operette terminava con Dialogo di Timandro e di Eleandro, mentre a chiudere il libro del ’34 e quello curato da Ranieri del 1845, c’è un’operetta scritta nel 1832, Dialogo di Tristano e di un amico.

È un dialogo, che, con un espediente metaletterario, nel chiudere il libro ne integra le possibili critiche, basti leggerne l’attacco: «Ho letto il vostro libro. Malinconico al vostro solito». Ma più in generale, questo è un dialogo che fa il bilancio del libro, riepilogandone i temi e giustificando la raccolta stessa. Attraverso un’aggressiva ironia nei confronti del secolo “decimonono”, Tristano dichiara l’inattualità del libro, a giustificarne l’insuccesso (possiamo ipotizzare che sia proprio al fallimento  della prima edizione delle Operette a cui il personaggio alluda) e perciò con disperata ironia chiede che quel libro venga bruciato:

E però questa conclusione non è rinunciataria, è anzi coraggiosa, come sarà coraggiosa la conclusione del libro dei Canti dopo il 1835, con la Ginestra:

Non mi sottometto alla mia infelicità, nè piego il capo al destino, o vengo seco a patti, come fanno gli altri uomini; e ardisco desiderare la morte.