Pietro Bembo e le Prose della volgar lingua

2.2.1 Ambientazione e personaggi

È il 10 dicembre 1502. Carlo Bembo, Federico Fregoso, Giuliano de’ Medici ed Ercole Strozzi si ritrovano nella casa veneziana di Carlo. Dopo cena, Ercole propone di sedersi intorno al fuoco, idea che viene accolta con entusiasmo da Giuliano: «Accostiamvici […] che questo Rovaio; che tutta mattina ha soffiato, acciò fare ci conforta». Dalla parola usata da Giuliano per indicare il vento di tramontana, rovaio, sconosciuta al ferrarese Ercole Strozzi, ha inizio la conversazione sul volgare.

Gli interlocutori 

  • Carlo Bembo (Venezia 1472-Venezia 1503): È il fratello minore di Pietro, figlio di Elena Marcello e Bernando Bembo. uomo diplomatico che godeva di un certo prestigio a Venezia. Entra in contatto, insieme al fratello, con Aldo Manuzio, e collabora con lui alla pubblicazione dei primi testi in volgare. Nelle Prose, è il portavoce principale di Pietro Bembo e ne riassume, nel Primo Libro, le posizioni. 
  • Giuliano de' Medici (Firenze 1479-Firenze 1516): figlio più giovane di Lorenzo de’ Medici (1449-1492) e Clarice Orsini e cugino di Giulio de’ Medici, il futuro papa Clemente VII a cui Bembo dedica la sua opera. Nel dialogo, Giuliano espone le ragioni dei sostenitori del fiorentino contemporaneo.
  • Federico Fregoso (Genova 1480 – Gubbio 1541): Nasce a Genova da Agostino Fregoso e Gentile, figlia di Federico da Montefeltro, ma, dopo la morte del padre, si trasferisce alla corte di Urbino, dove ha modo di formarsi a contatto con un ambiente culturale vivissimo. Intorno a lui, a Roma, si crea una piccola corte animata da diversi scrittori e artisti di spicco, tra cui Pietro Bembo, che compone proprio nell’abitazione romana di Fregoso parte delle Prose. A Fregoso spetta, nell’opera del 1525, buona parte dell’esposizione delle tesi “storiche” della lingua volgare.
  • Ercole Strozzi (Ferrara 1470/1471/1473 – Ferrara 1508): Nasce a Ferrara da Tito Vespasiano e Domitilla Rangoni. La sua produzione letteraria è scritta soprattutto in latino, che gli viene insegnato dal padre e da Aldo Manuzio, mentre dei componimenti in volgare, a cui Strozzi si converte in seguito all’incontro con Pietro Bembo (1497), rimane poco. Nelle Prose, Ercole Strozzi riassume le posizioni dei sostenitori del latino, mostrandosi, allo stesso tempo, disposto a conoscere storia e regole della lingua volgare.