Pietro Bembo e le Prose della volgar lingua
2.2.2 Le Prose: introduzione all'opera
La seconda edizione delle Prose viene stampata a Venezia dall’editore Francesco Marcolini nel 1538. Nell’opera, come si legge nel lungo titolo impresso sul verso del frontespizio, Bembo si propone di condurre, attraverso la discussione tra i protagonisti del dialogo, un ragionamento sulla lingua volgare, articolato in tre libri. Le Prose sono dedicate dall‘autore al cardinale Giulio Zanobi de‘ Medici, già papa Clemente VII quando viene pubblicata la prima edizione delle Prose, nel 1525.
La grammatica di Bembo non è il primo esempio di riflessione teorica sulla lingua volgare: già Dante si era dedicato all’argomento con il De vulgari eloquentia, e, a pochi anni dalla pubblicazione delle Prose, arriveranno il Cortegiano di Castiglione (1528) e il Castellano di Trissino (1529). Negli anni in cui Bembo scrive e pubblica la prima edizione delle Prose (Venezia, 1525) e oltre, questo dibattito è prioritario e reso necessario dalla situazione linguistica dell’Italia del XVI secolo, dove volgare e latino convivono, senza avere, però, lo stesso prestigio. Il latino è ancora considerato da molti come la lingua della cultura e della letteratura, mentre il volgare è visto come il risultato di un processo di decadenza. Inoltre, la lingua latina rimane ancora la più diffusa in alcuni ambiti della scrittura (per esempio, quello dell’amministrazione della giustizia) e i volgari in uso sul suolo italiano presentano profonde differenze.
Accanto a queste motivazioni, si presentano nuove esigenze legate all’invenzione della stampa a caratteri mobili e alla diffusione dei libri a stampa in volgare: per correggere gli errori che potrebbero trovarsi nei testi, è necessario che questi siano riconoscibili come tali, ovvero che venga fissata una norma linguistica che indichi forme e usi corretti, permettendo di intervenire sui testi e di produrli attraverso criteri uniformi, soprattutto a livello ortografico.
L’opera di Bembo ha ripercussioni importanti anche da questo punto di vista, limitando le grafie latineggianti e contribuendo a fissare forme ancora oscillanti:
- Articoli determinativi: nelle Prose, Bembo indica Il/Lo e I/Gli come forme dell’articolo determinativo maschile singolare e plurale, che soppiantano definitivamente le forme El, per il singolare, ed E’ per il plurale (cfr. Marazzini 2021, p. 221)
- Plurale dei sostantivi femminili: viene fissato il plurale in –i che si afferma su quello in –e (cc. LVv-LVIr)
- Voci verbali: stabilizzazione della 1° persona plurale del presente indicativo in –iamo e dell’imperfetto in –a (io amava non io amavo)
La riflessione linguistica che porta alla stesura delle Prose della volgar lingua è legata a un periodo molto significativo nella vita di Bembo, quello della collaborazione con Aldo Manuzio, uno dei tipografi più importanti del Cinquecento, che inizia la sua attività a Venezia nel 1494.
Manuzio si dedica, all’inizio, a testi in greco e in latino, ma, a partire dal 1501, inizia a pubblicare in un formato “tascabile” – detto in-ottavo in base al numero di volte in cui veniva piegato un foglio di stampa – le opere dei grandi autori della letteratura volgare, Dante e Petrarca.
L’edizione del Canzoniere di Petrarca del 1501 (pubblicata con il titolo Le cose volgari) e quella della Commedia di Dante dell’anno successivo (pubblicata con il titolo Terze rime) vengono curate proprio da Bembo, che adotta scelte linguistiche di cui sancirà la definitiva affermazione nelle Prose.