Il potere delle parole: il "Decameron" tra filologia e censura

2.5 La controriforma e la censura: la versione dei Deputati fiorentini

La storia del Decameron cambia drasticamente con l’avvento del Concilio di Trento (1545-1563). Sotto il papato di Paolo IV (1555-1559), al secolo Gian Pietro Carafa, la Congregazione del Sant’Uffizio promulga nel 1559 l’Index proibitorum librorum, un catalogo di autori, editori e scritti condannati dalla Chiesa romana per difesa della fede e della morale. Nell’indice figura anche il capolavoro novellistico: «Boccacci Decades seu Novellae centum quae hactenus cum intollerabilibus erroribus impressae sunt et quae posterum cum eisdem erorribus imprimentur». L’errore meno tollerabile di Boccaccio e più dannoso per la Chiesa Cattolica in età di Riforma protestante è senza dubbio l’anticlericalismo che emerge da molte sue novelle. Nondimeno, non è solo il «poco regolato appetito» di frati e piovani a disturbare il Sant'Uffizio, ma ogni generico eccesso di lascivia. Infatti, la regola numero sette dell’Indice tridentino del 1564 insisterà proprio su questo aspetto: lo scopo originario è colpire la letteratura pornografica ex professo, ma il bando – non senza opposizioni – travolgerà presto tantissima letteratura italiana. 

Nonostante ciò, l’Indice tridentino risulta complessivamente meno severo del primo, e inserisce il Decameron nel novero delle opere che possono continuare a circolare a patto che siano emendate. Cosimo I de’ Medici (1519-74), prima Duca e poi Granduca di Toscana, era ben consapevole di quale prestigio l’opera di Boccaccio conferisse al suo principato e quale funzione di coesione politica svolgesse il primato culturale toscano. Dunque, il Granduca ottenne da papa Pio V di promuovere a Firenze – e non altrove come rischiava di accadere – una revisione del testo: questa è affidata nel 1571 alle cure dei “Deputati”, una commissione di esperti fiorentini sovrintesa da Vincenzo Borghini (1515-80), stimato membro dell’Accademia Fiorentina. L’edizione purgata del Decameron è in un primo momento approvata e arriva alla stampa nel 1573.
 

La dedica dei Deputati a Cosimo I de’ Medici è esemplificativa del sentimento diffuso tra i letterati nei confronti dell’opera di Boccaccio, che per il suo pregio letterario e specialmente linguistico va salvata dalla condanna dell’Indice:

Egli è stata sempre, Serenissimo Gran Principe, comune et ferma opinione de’ più giuditiosi huomini, et de’ più scientiati che Messer Giovanni Boccacci Cittadino Fiorentino, et per la maestria dello scrivere et per la vaghezza et purità delle voci, sia in questa nostra lingua il più bello scrittore di Prose che, o in Toscana o altrove, si sia per alcuno tempo trovato […] tale la leggiadria dello stile, che egli ha quasi solo dato norma et forma alla nostra favella: non ne havendo chi ne ha scritto regole né più certa né più sicura guida di lui.