Il potere delle parole: il "Decameron" tra filologia e censura

2.2 La fortuna trecentesca e la lezione di Petrarca

Nel Trecento l’asse geografico di prima diffusione del Decameron si sviluppa tra Firenze e Napoli, città centrali nell’esperienza biografico-letteraria dell’autore. In Italia, gli imitatori non tardano ad arrivare, e a fine XIV secolo si leggono già il Trecentonovelle di Franco Sacchetti e il Novelliere del senese Giovanni Sercambi. Nondimeno, Boccaccio ha presto successo in tutta Europa: lo testimoniano i Canterbury tales dell’inglese Geoffry Chaucer (ca. 1390) e il Livre de la Cité des Dames de Christine de Pizan (ca.1405), che è fortemente debitrice, oltre che del Decameron, anche del De mulieribus claris.

Una posizione critica di fondamentale importanza nei confronti dell’opera è quella autorevole di Francesco Petrarca, il cui giudizio acuto condizionerà in maniera determinante la successiva ricezione dell’opera. In una celebre Seniles (XVII 3), indirizzata a Boccaccio, il poeta di Arezzo loda la tragica introduzione dell’opera e si sofferma sulla compresenza di registri diversi all’interno del testo. Tra le novelle osserva la prevalenza di «multa sane iocosa et levia», ma esprime apprezzamento per «quaedam pia et gravia»: in particolare, è colpito dall’eroismo silenzioso di Griselda (X 10), di cui realizzerà un’appassionata riscrittura latina. Se da una parte tale operazione costituisce un omaggio al lavoro dell’amico, dall’altra svaluta indirettamente la componente festosa dell’opera, orientando la ricezione umanistica del Decameron in direzione dotta e moralizzante