Il potere delle parole: il "Decameron" tra filologia e censura

2.1 La redazione e la prima diffusione dell’opera

La redazione e la prima diffusione dell’opera
Per stabilire l’inizio della scrittura del Decameron non si possiedono prove esterne come lettere o dichiarazioni dell’autore, ma i critici concordano nel datare questo momento al 1349, circa un anno dopo la diffusione dell’epidemia di peste a Firenze. Diversamente, un sicuro terminus ante quem per la conclusione e una prima circolazione dell’opera – anche fuori dalla Toscana – è una lettera di Francesco Buondelmonti del 13 luglio 1360, il quale fa richiesta a Giovanni Acciaiuoli arcivescovo di Patrasso di restituire «il libro de le novelle di messer Giovanni Boccaccii» prestatogli un anno prima. È invece del 1373 l’epistola latina con cui Boccaccio istruisce Mainardo Cavalcanti su come leggere correttamente il Decameron – una questione in parte già affrontata all’interno del testo e che accompagnerà la storia dell’opera fino ai giorni nostri. A cavallo tra gli anni ’60 e’ 70, l’autore si dedica alla compilazione di un manoscritto autografo del suo capolavoro nel formato del “libro da banco”: le grandi dimensioni, la disposizione del testo su due colonne e il preciso sistema di miniature testimoniano secondo Lucia Battaglia Ricci la volontà di realizzare un’opera di dignità universitaria e destinata a un pubblico colto. Si tratta del codice membranaceo Hamilton 90, conservato alla Staatsbibliothek di Berlino e databile al 1370, che costituisce oggi il testimone fondamentale per l’allestimento delle moderne edizioni critiche. Tuttavia, essendo l’autografo acefalo e lacunoso (sono assenti Proemio, Introduzione e tre fascicoli), gli editori ricorrono all’ausilio di altri importanti manoscritti, come il Parigino Italiano 482 e il Laurenziano 42.1, anche noto come Ottimo Mannelli.
 

Non tutta la tradizione successiva riprodurrà l’aspetto dotto e autorevole dell’Hamilton 90, ma ne rispetterà gli elementi strutturali fondamentali, ovvero la cornice e la distribuzione delle giornate. Gli studi di Vittore Branca avevano evidenziato l’abbondanza di testimoni dell’opera realizzati dai cosiddetti «copisti per passione» (specialmente di estrazione mercantile), cioè lettori che avrebbero copiato l’opera in modo parziale e asistematico per piacere personale, aggiungendo al testo commenti, conti e altre note. Tuttavia, i più recenti studi di Marco Cursi hanno dimostrato che il numero di manoscritti del Decameron realizzati da professionisti, quindi a pagamento, è maggioritario di quelli realizzati in autonomia dai lettori appassionati.
Dunque, le ultime ricerche ridimensionano la validità della definizione branchiana di «epopea dei mercanti» e fanno emergere un pubblico di lettori variegato, composto sì da commercianti, ma anche da notai, funzionari e aristocratici.