Il potere delle parole: il "Decameron" tra filologia e censura

3.8 Dal monastero all’harem, da Masetto a Massèt (III 1)

La prima novella della Terza giornata è un ottimo esempio di come la censura di Salviati ha gestito gli elementi anticlaricali nel testo del Decameron, riscrivendoli.

Il protagonista è Masetto da Lamporecchio, un giovane contadino che si finge muto per poter lavorare come ortolano in un convento di monache. L’inganno funziona: le religiose, credendo che non possa rivelare nulla, una dopo l’altra cedono alla tentazione e finiscono per avere rapporti con lui. La novella, raccontata da Boccaccio con ironia, gioca ancora una volta sul contrasto tra il rigore della vita religiosa e i desideri naturali degli esseri umani, ottenendo un effetto comico e scandaloso. 
Già dalla rubrica, le trasformazioni di Salviati sono radicali. Nell’originale boccacciano si legge: «Masetto da Lamporecchio si fa mutolo e diviene ortolano d’un monistero di donne, le quali tutte concorrono a giacersi con lui» (III 1, BIBIT). Nella versione censurata il monastero diventa dunque un «serraglio», cioè un «harem», un luogo che nell’immaginario cristiano del Medio Evo era tipico della cultura islamica. 
 

L’alterazione è programmatica, e tutta la novella è trasformata in modo coerente. Lo scopo è chiaramente di salvaguardare la trama della novella, spostando l’ambientazione in un altrove che non riguarda il mondo cattolico. 
Vediamo da vicino gli incipit della novella originale e della novella “rassetatta”, che mostrano in modo efficace le trasformazioni di cui parliamo. Prima il testo originale: 

In queste nostre contrade fu e è ancora un munistero di donne assai famoso di santità (il quale io non nomerò per non diminuire in parte alcuna la fama sua) nel quale, non ha gran tempo, non essendovi allora più che otto donne con una badessa, e tutte giovani, era un buono omicciuolo d'un loro bellissimo giardino ortolano: il quale, non contentandosi del salario, fatta la ragion sua col castaldo delle donne, a Lamporecchio, là onde egli era, se ne tornò. Quivi tra gli altri che lietamente il raccolsono fu un giovane lavoratore forte e robusto e secondo uomo di villa con bella persona, il cui nome era Masetto; e domandollo dove tanto tempo stato fosse. Il buono uomo, che Nuto aveva nome, gliele disse; il qual Masetto domandò di che egli il monistero servisse […] (III 1, BIBIT).
 

E ora il testo censurato, dove per facilitare il confronto sono evidenziati in grassetto alcuni termini rilevanti. L’alternanza tra tondo e corsivo, come già visto, riproduce invece le scelte editoriali di Salviati:

Appresso ad Alessandria fu già una grandissima e bella torre, nella quale il Signor della contrada, a cui dicevano l’Ammiraglio, sotto la cura d’una sua donna molte pulzelle soleva tener racchiuse. Del numero delle quali al Soldano di Babilonia, a cui egli era suggetto, ogni tre anni una volta, tre ne mandava per tributo. Nel qual serraglio, non ha gran tempo, non essendovi allora più che otto donzelle con una lor madonna, e tutte giovani, era un buon homicciuolo d’un loro bellissimo giardino ortolano: il quale, non contentandosi del salario, fatta la ragion sua col castaldo delle donne, a Nicopoli, là ond’egli era, se ne tornò. Quivi, tra gli altri, che lietamente il raccolsono, fu un giovane ebreo lavoratore, forte e robusto e secondo huom di villa con bella persona, il cui nome era Massèt: ma percioché a Lamporecchio, non guari di qui lontano, era nato, et i primi anni dimoratovi della sua giovinezza: il nome di Massèt, secondando l’uso della contrada, s’era rivolto in Masetto, e per Masetto da Lamporecchio era conosciuto da tutti. Masetto, adunque, domandò il buono huomo dove tanto tempo stato fosse. Il buono huomo, che Lurco havea nome, gliele disse. Il quale Masetto domandò di che egli il serraglio servisse […] (ed. Salviati, p. 138).
 

Nella riscrittura di Salviati, il lettore è sin da subito trasportato in un mondo geograficamente lontano: la novella non è più ambientata in «queste nostre contrade», ma «ad Alessandria», cioè in un Egitto di generica dominazione araba. Se il monastero diventa un harem, le otto monache e la badessa diventano «otto donzelle con una lor madonna», mentre il «castaldo» diventa un «ammiraglio» alle dipendenze del Sultano di Babilonia. Dunque, la castità che le monache dovevano conservare come voto religioso nei confronti di Dio, diventa l’obbligo che le donne dell’harem devono osservare verso il proprio sovrano.
Anche il protagonista cambia dati anagrafici. Non si tratta più di un contadino toscano, ma  un «ebreo» di nome Massèt che aveva vissuto l’infanzia a Lamporecchio, e pertanto era conosciuto come Masetto. Anche il vecchio ortolano subisce una trasformazione: in Boccaccio si chiamava Nuto, soprannome di origine toscana, mentre Salviati lo ribattezza Lurco, nome riconducibile al mondo germanico, e quindi forse un riferimento all’universo protestante.

Sono chiari a questo punto gli intenti della riscrittura. Se non è accettabile per la Controriforma che si legga di suore che tra le mura del proprio monastero in Toscana giacciono a turno con il proprio ortolano, approfittando della sua sordità, la storia diventa ammissibile quando i protagonisti sono lontani e appartenenti ad altri sistemi culturali e religiosi.
Infatti, l’antigiudaismo era radicato nel mondo occidentale sin dalla nascita del Cristianesimo, mentre l’ostilità al mondo islamico si era sedimentata tra Medio Evo e prima Età Moderna per ragioni storico-politiche. Non a caso, nel torno d’anni in cui Salviati lavora all’edizione censurata del Decameron, si era da poco svolta la Battaglia di Lepanto (1571), scontro navale in cui l’alleanza degli Stati cristiani aveva fermato l’avanzata militare dell’Impero Ottomano.