Il potere delle parole: il "Decameron" tra filologia e censura
2.10 «Da gentile com’ell’era»: le postille a Ghismunda (IV 1)
Come si è già avuto modo di osservare, uno dei dispositivi di cui si serve Salviati nella sua edizione del Decameron sono le postille marginali. Di fatti, si pone nella posizione di commentatore, inserendosi in una tradizione complessa e di lunga data, che dai corredi esegetici medievali giunge fino ai commenti universitari, passando per l’attività dei glossatori giuridici e le pratiche dell’umanesimo latino.
Le postille di commento al Decameron rassettato non sono mai neutre, ma valgono a orientare la ricezione da parte del lettore in una certa direzione: anche quando sembrano semplici annotazioni linguistiche, Salviati si sforza in realtà di rendere accettabile il testo per la censura romana. D’altra parte, ciò gli consente talvolta di non intervenire o di farlo in modo limitato, conservando l’originale di Boccaccio.
Un esempio efficace di questa operazione è il primo racconto della Quarta Giornata, dedicata alla storia dall’esito tragico di Tancredi e Ghismunda (IV 1, BIBIT). La novella – in modo simile a quanto accaduto per Griselda (X, 10) – è tra le poche del Decameron a godere di una fortuna autonoma dal libro: come già accennato, a inizio Quattrocento Leonardo Bruni (1370-144) ne diede una traduzione latina; la stessa novella è trasposta a fine secolo in distici elegiaci da Filippo Beroaldo il Vecchio (1453-1505); infine, negli stessi anni Francesco Accolti d’Arezzo (1416-1488) ne realizza una riscrittura volgare in terza rima e Girolamo Benivieni (1453-1542) una in ottave. Forse è anche in ragione di questo successo, nonché del valore esemplare della vicenda narrata, che Salviati dimostra maggior deferenza verso il testo, malgrado la novella interpreti quella visione dell’amore che fino a qui l’editore dell’opera si è sforzato di modificare.
Per prima cosa, in modo simile a quanto fatto con la novella di Masetto (III, 1), Salviati allontana il racconto di Tancredi e Ghismunda dal mondo cristiano. Questa volta non lo fa operando sulle coordinate topiche, ma modificando le coordinate cronologiche. Infatti, un’inserzione nell’incipit della novella specifica che la vicenda è accaduta prima ancora dell’età dei consoli, vale dire prima dell’età repubblicana – ben lontano dall’incarnazione di Cristo:
Tancredi, Principe di Salerno, il quale, avanti a i consoli della città di Roma, in quella parte dell’Italia Signoreggiò, e quindi forse il moderno titolo fu ripreso del principato, fu Signore assai humano e di benigno ingegno, se egli nell’amoroso sangue […] non s’havesse le mani bruttate (ed. Salviati, p.207).
Nella stessa pagina è di interesse la postilla linguistica, con cui Salviati cerca di alterare la fisionomia di Ghismunda, eroina tragica, eloquente e di animo nobile. Il testo di Boccaccio recita «bellissima del corpo e del viso quanto alcuna altra femina fosse mai, e giovane e gagliarda e savia più che a donna per avventura non si richiedea» (ed. Salviati, p. 207). E l’editore postilla «Savia, qui vale accorta», privando il termine della sua connotazione morale positiva e insinuando la colpa della protagonista nella fine tragica che la attende.

