Il potere delle parole: il "Decameron" tra filologia e censura

3.6 Il Proemio: grati a Dio o ad Amore?

«Umana cosa è aver compassione degli afflitti»: nel Proemio del Decameron a prendere parola è direttamente Boccaccio. L’autore spiega che è proprio dell’uomo provare compassione per chi soffre. Di che sofferenza si tratta? L’autore parla delle pene d’amore che egli stesso ha sperimentato in prima persona. A salvarlo da tale afflizione è stata la compagnia degli amici, che lo hanno consolato finché la forza dell’amore non è svanita, lasciando di sé solo un lieto ricordo.
Memore dell’aiuto ricevuto, Boccaccio vuole fare altrettanto. E chi più delle donne ha bisogno del suo aiuto? Infatti, se gli uomini soffrono, hanno molte attività con cui distrarsi e ingannare il tempo, come la caccia, la pesca, i giochi e il lavoro. Al contrario, nel Medio Evo di Boccaccio, le donne erano tenute a nascondere il sentimento di un amore non legittimato dalla famiglia e, trascorrendo la maggior tempo del «piccolo circuito delle loro camere» (Proemio, BIBIT), avevano meno occasioni di consolarsi dalle pene d’amore.
Pertanto, le novelle di Boccaccio sono principalmente rivolte a loro, perché leggendole possano trovare qualche sollievo, ricavando al tempo stesso diletto e insegnamento. 
 

Si legge infatti nel testo “originale” del Decameron:

Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d'amore e altri fortunati avvenimenti si vederanno così ne' moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Idio che così sia, a Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da' suoi legami m'ha conceduto il potere attendere a' lor piaceri (Proemio, BIBIT).

Dunque, se Boccaccio riuscirà nel suo intento di soccorrere le donne afflitte, è ad Amore che bisogna essere grati, perché liberandolo dalle sue catene gli ha permesso di dedicarsi alla scrittura dell’opera. In questa parte finale del Proemio avviene il primo piccolo ma decisivo intervento di censura. Nell’edizione di Salviati il finale è così modificato:

Il che se avviene (che voglia Iddio che così sia) a lui ne rendano grazie, il quale liberandomi da * legami, m’ha conceduto il poter attendere a’ lor piaceri (ed. Salviati, Proemio).

Come evidenziato in grassetto, Salviati sostituisce la parola Amore, sostituendola con lui, pronome che si riferisce a «Iddio». Pertanto, nella versione censurata del testo non è all’Amore che le donne devono essere grate se ora Boccaccio è libero di scrivere il Decameron, ma a Dio. Di conseguenza, l’Autore non è liberato dai «da’ suoi legami», che a seguito della riscrittura significherebbe ‘dai legami di Dio’, bensì è sciolto «dai * legami», cioè ‘i legami d’Amore’ di cui finora si è discusso nel Proemio. 
L’accostamento nella stessa frase tra il Dio cristiano e Amore, personificato quasi come una divinità, doveva suonare profano a Salviati, che invece ribadisce in modo chiaro il giusto ordine gerarchico: Dio è sopra ogni cosa e ha piena autorità sull’attività di Amore. Pertanto, è a Lui – Salviati lo scriverebbe oggi con la maiuscola – e a nessun altro che bisogna rendere grazie.
Altrove gli interventi dell’editore sono ben meno sottili: se le modifiche nel Proemio sono operate con il bisturi, le censure della prossima novella sono effettuate con l’accetta.