Giacomo Leopardi e il progetto delle "Opere"
3.8. Le prime "prosette satiriche"
Nel 1820, in una pagina manoscritta dei Disegni letterari, Leopardi si appunta le idee per i libri che ha intenzione di scrivere, tra questi alcuni «Dialoghi Satirici alla maniera di Luciano»: il progetto sarebbe servito a «provar di dare all’Italia un saggio del suo vero linguaggio comico che tuttavia bisogna assolutamente creare».
Ma non solo: durante il biennio 1819-1820, Leopardi confessa all’amico Pietro Giordani lo stesso proposito, e cioè la scrittura di «prosette troppo liberali» (Lettera del 12 febbraio 1819) che, a più di un anno di distanza, definisce meglio – forse proprio dopo la scrittura di quel “disegno” – come, appunto, “satiriche” (4 settembre 1820).
Da queste dichiarazioni di intenti non emerge l’impegno filosofico che caratterizzerà il libro delle Operette, è chiaro invece lo scopo satirico e, già a quest’altezza, la ricerca di un’ambientazione priva della presenza degli uomini.
Tra il 1821 e il ’23 le notizie di questa linea di ricerca si fanno più frammentarie: riconducibili al 1820-’21 sono gli abbozzi di alcuni dialoghi, tra cui Dialoghi tra due bestie, Dialogo Galantuomo e Mondo e la Novella Senofonte e Niccolò Machiavello. Intanto il 27 luglio 1821, dagli appunti sullo Zibaldone (1393-1394), emerge anche l’intento civile del progetto, la volontà di «scuotere la sua povera patria». Insomma, a quest’altezza il piano sembra ben avviato, alcune prose sono già state stese e gli scopi “morali” sono chiari, però il 6 agosto del ’21 Leopardi dà notizia a Giordani di un’interruzione o meglio del rinvio della scrittura:
Quasi innumerabili generi di scrittura mancano o del tutto o quasi del tutto agl’italiani, ma i principali, e più fruttuosi, anzi necessari, sono, secondo me, il filosofico, il drammatico, e il satirico. Molte e forse troppe cose ho disegnate nel primo e nell’ultimo: e di questo (trattato in prosa alla maniera di Luciano, e rivolto a soggetti molto più gravi che non sono le bazzecole grammaticali a cui lo adatta il Monti) disponeva di colorirne qualche saggio ben presto. Ma considerando meglio le cose, m’è paruto di aspettare. In ogni modo proveremo di combattere la negligenza degl’italiani con armi di tre manieri, che sono le più gagliarde; ragione, affetti e riso.
D’altra parte, la letteratura italiana, a differenza di quella inglese, è sempre stata serissima, le manca l’ironia o l’humour che Leopardi andava cercando e che spiega in una pagina del suo diario intellettuale, che potremmo leggere come una dichiarazione di intenti:
Ne’ miei dialoghi io cercherò di portar la commedia a quello che finora è stato proprio della tragedia, cioè i vizi dei grandi, i principii fondamentali della calamità e della miseria umana, gli assurdi della politica, le sconvenienze appartenenti alla morale universale, e alla filosofia, l’andamento e lo spirito generale del secolo, la somma delle cose, della società, della civiltà presente, le disgrazie e le rivoluzioni e le condizioni del mondo, i vizi e le infamie non degli uomini ma dell’uomo, lo stato delle nazioni ec.» (Zib. 1393-1394)
Dopo quattro anni di riflessione sulla scrittura di questa prosa, l’interruzione è brusca e immotivata, ma rimane operante, dato che non vi si fa più riferimento né nell’epistolario, né nello Zibaldone, fino al momento in cui Leopardi si dedica effettivamente alla scrittura delle Operette morali, per cui bisognerà aspettare il 1824.