Giacomo Leopardi e il progetto delle "Opere"
2.6. Il titolo e le forme della poesia
A questo punto è importante capire perché e come diverse forme e diversi progetti poetici vengano uniformati sotto il nome di Canti. È un titolo inedito nella tradizione italiana ed è un titolo che unisce la diversità dei generi sotto «l’unicità del genere lirico» (Blasucci 2019, Canti).
A testimonianza di questo tentativo di omologazione delle poesie, Leopardi elimina i sottotitoli di genere che avevano i componimenti che aveva già pubblicato: cadono i progressivi «Canzone prima», «Canzone seconda» che erano presenti nel libro del 1824, così come quelli del libro dei Versi del ’26, «Idillio I», «Idillio II» ecc.; per la stessa ragione quella che si chiamava Elegia I acquisisce un titolo tematico, Il primo amore, e in Al conte Carlo Pepoli cade la specifica di Epistola. Resta, però, come si è visto, la diversità dei generi, testimoniata dalla disposizione in blocchi unitari delle poesie.
I Canti si aprono con nove canzoni. Le prime due, All’Italia e Sopra il Monumento di Dante, sono le canzoni patriottiche, nelle quali Leopardi lamenta la condizione di servitù politica dell’Italia e con tono eroico afferma:
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Agl’italici petti il sangue mio.
Un patriottismo che lo fa amare molto dagli uomini di metà Ottocento, secondo una felice definizione dello stesso Carducci: «– Con Manzoni in chiesa – dicevano gl’Italiani, ed aggiungevano: – con Leopardi alla guerra».
Se il primo blocco dei Canti è caratterizzato da uno spiccato senso civile e politico, col progredire del libro (soprattutto nella sezione delle Canzoni) emerge quello che è stato definito “romanzo ideologico” (Blasucci 1996): è qui che Leopardi mette in versi la progressiva perdita di fiducia in un possibile momento di felicità per il genere umano. Dalla canzone Ad Angelo Mai, in cui il divario tra antichi e moderni rende ancora possibile immaginare un passato di felicità, si approda a esplorare quel passato storico e mitico – rispettivamente con la coppia Bruto minore-Ultimo Canto di Saffo e Alla primavera, o delle favole antiche – per arrivare a ‘scoprire’ che, come il poeta fa dire a Saffo, «nascemmo al pianto» (v. 48).
Sul tavolo di Leopardi, però, negli stessi anni, insieme al cantiere delle Canzoni convive quello degli Idilli, che si liberano della struttura metrica tradizionale (Leopardi usa l’endecasillabo sciolto), dove il linguaggio si fa piano e allusivo e la sintassi si semplifica. I protagonisti, che nelle canzoni sono molteplici, ora si riducono molto, gli idilli sono infatti, secondo una definizione di Leopardi, «situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo».
Una visione un po’ riduttiva considera le Canzoni e gli Idilli come una declinazione diversa del negativo, vista dalla prospettiva di un noi storico, da un lato, e attraverso lo sguardo dell’io esistenziale. In realtà la definizione di Leopardi presenta un soggetto moderno, sensibile e disincantato, mette a fuoco alcune «gratificazioni interiori, che con la loro intermittenza tendono a rompere la continuità desolata della sua condizione» (Blasucci 2014, p. 21). Alla luna ne dà un chiaro saggio:
Lo stato angoscioso del soggetto introduce un’«avventura storica», il piacere connesso alla “ricordanza”: «E pur mi giova | La ricordanza, e il noverar l’etate | Del mio dolore».
Il blocco di componimenti di cui abbiamo detto finora afferisce alla stagione poetica tra il 1818 e il 1823; con l’eccezione di una sola poesia (Al conte Carlo Pepoli), nei cinque anni successivi Leopardi si dedicherà alla composizione delle Operette morali. È proprio nell’unica poesia che scrive durante il silenzio poetico, che nel 1826 portava nel titolo la definizione di “Epistola”, che l’autore dichiara l’intenzione dedicarsi a «studi men dolci»
La nuova stagione della poesia si inaugura nel 1828 con un testo eloquentemente intitolato Il risorgimento. Da lì in poi la poesia di Leopardi cambia forma, le strofe si fanno di una lunghezza variabile, endecasillabi e settenari si alternano liberamente: è la canzone libera, che Leopardi utilizzerà per tutte le poesie successive.
Qui è bene fare una riflessione su come evolvono le edizioni a seguito dell’adozione della canzone libera. Una consuetudine di Leopardi è la richiesta che le canzoni «si stampino una strofe per pagina», già da R18, poi in B20 e ancora in B24, fino a che dunque le strofe sono uguali per numero e disposizioni di versi. Le caratteristiche della “canzone libera”, con l’oscillazione della lunghezza delle strofe, non permetteranno più di rispettare quella consuetudine. E allora la novità “canzone libera” andrà a incidere a ritroso anche sulla fisionomia della pagina anche per le vecchie canzoni, quelle di B24.




