Pietro Bembo e le Prose della volgar lingua
2.2.5 Il giudizio su Dante, Petrarca, Boccaccio
I criteri attraverso cui valutare la bontà di una lingua sono, per Bembo, esclusivamente formali: riguardano, cioè, non il contenuto, ma il modo in cui il contenuto è espresso. L’applicazione di questo criterio è molto chiara nel giudizio su Boccaccio espresso nel Libro Secondo, dove le riserve di Bembo sulla materia trattata in certe novelle del Decameron vengono riscattate dalle scelte stilistiche adottate da Boccaccio:
Che quantunque del Boccaccio si possa dire, che egli nel vero alcuna volta molto prudente scrittore stato non sia: conciosia cosa che egli mancasse talhora di giudicio nello scrivere non pure delle altre opere, ma nel Decamerone anchora: nondimeno quelle parti del detto libro, le quali egli poco giudiciosamente prese a scrivere, quelle medesime egli pure con buono et con leggiadro stile scrisse tutte: il che è quello, che noi cerchiamo. (Prose 2 XIX, c.XLVIIIr)
Secondo lo stesso criterio, il dibattito sulla superiorità della poesia di Dante rispetto a quella di Petrarca, molto frequente in questi anni, viene risolto da Bembo a favore dell’ultima. L’autore delle Prose, infatti, è convinto che i sostenitori della superiorità di Dante si basino, nel loro giudizio, sulla varietà di materie trattate nella Commedia, ma il soggetto non è un criterio valido nel giudizio della bontà di un’opera. Se quindi, suggerisce Giuliano, tutti adottassero i criteri indicati da Carlo e Federigo - elezione e disposizione, piacevolezza e gravità - sarebbe evidente la superiorità della poesia di Petrarca sulla poesia dantesca, che, per il plurilinguismo e la commistione di registri diversi che la caratterizza, suscita all’autore la metafora su cui si chiude il capitolo XX:
[…] si può la sua Comedia giustamente rassomigliare ad un bello et spazioso campo di grano; che sia tutto d’avene et di logli et d’herbe sterili et dannose mescolato: o ad alcuna non potata vite al suo tempo: la quale si vede essere poscia la state sì di foglie et di pampini et di viticci ripiena; che se ne offendono le belle uve. (Prose 2 XX, c.XLIXv)