Pietro Bembo e le Prose della volgar lingua
2.1.11 Una grammatica asistematica
La proposta linguistica formulata nelle Prose trova le sue radici nell’attività filologica dello scrittore, a partire dal lavoro sul Canzoniere petrarchesco, pubblicato nell’edizione di Bembo con il titolo Le cose volgari nel 1501, durante un fecondo periodo di collaborazione con l’editore veneziano Aldo Manuzio. La Postilla all’opera di Petrarca firmata da Manuzio (ma, in realtà, attribuibile a Bembo) testimonia, infatti, l’adozione di soluzioni grafiche rintracciabili nelle Prose e la prima espressione di alcune delle norme grammaticali trattate sistematicamente nel 1525 (Patota 2017, pp. 29-37).
Protagonista quasi esclusivo del terzo libro è Giuliano de’ Medici, l’unico fiorentino del gruppo, che mette bene in luce, fin dalle prime pagine, l’asistematicità che caratterizza l’esposizione:
Quello, che io a dirvi ho preso, è M. Hercole, se io dirittamente stimo, la particolare forma et stato della Fiorentina lingua; et di ciò che a voi, che Italiano siete, a parlar Thoscanamente fa mestiero: la qual somma percioché nelle altre lingue in più parti si suole dividere; di loro in questa partitamente et ancho non partitamente, sì come ad huopo mi verrà, vi ragionerò (Prose 3 III, c. LIIIv).
L’andamento ordinato della trattazione, che procede analizzando distintamente le varie parti del discorso – dal nome all’interiezione – è ostacolato, infatti, dalle digressioni che si aprono all’interno dell’esposizione, volte a spiegare eccezioni alla norma, a presentare differenze tra utilizzo poetico e prosastico e a illustrare e discutere esempi tratti dagli scrittori trecenteschi. Inoltre, in un andamento che tende a procedere isolando le categorie grammaticali, Bembo spesso affronta, senza soluzione di continuità e in modo trasversale, aspetti fonetici, lessicali, sintattici, legati alla formazione delle parole. Si prenda, per esempio, il seguente passo del Terzo Libro, in cui, dopo aver definito gli usi preposizionali di intra, infra, tra e fra, Bembo lascia da parte queste funzioni e sposta l’analisi sul piano della formazione delle parole, analizzando i morfemi in quanto prefissi verbali:
Sono INTRA et INFRA quello stesso; che per abbreviamento TRA et FRA si dissero: Delle quali le due vagliono molto spesso, quanto val Dentro: Infra li termini d’una picciola cella: Andarono infra mare: et Fra se stesso cominciò a dire: Si mise tanto fra la selva: et la INTRA alcuna volta altresì: Entrato intra le ruine. […] Questa medesima particella tuttavia quando co’l verbo si congiugne; ella hora dalla INTRA, che la intera è, si toglie; TRAPORRE, TRAMETTERE; che parimente INTRAMETTERE si disse; hora dalla TRANS Latina; a cui sempre si leva la N. TRASPORRE TRASPORTARE TRASFORMARE TRASANDARE […] (Prose 3 LXXIV, cc. CIXv-CXv)