Pietro Bembo e le "Prose della volgar lingua"

2.10 Piacevolezza e gravità

Federico Fregoso prosegue la trattazione, individuando nella «piacevolezza» e nella «gravità» le due caratteristiche – realizzate al massimo grado da Petrarca e Boccaccio – «che fanno bella ogni scrittura»:

Et affine che voi meglio queste due medesime parti conosciate come et quanto sono differenti tra loro; sotto la gravità ripongo l’honestà, la dignità, la maestà, la magnificenza, la grandezza, et le loro somiglianti: sotto la piacevolezza ristringo la gratia, la soavità, la vaghezza, la dolcezza, gli scherzi, i giuochi, et se altro è di questa maniera. Percioché egli può molto bene alcuna compositione essere piacevole, et non grave: et allo’ncontro alcuna altra potrà grave essere senza piacevolezza. (Prose 2 IX, c.XXXIIIIr)

Vengono, poi, indicati gli elementi che contribuiscono a creare i due effetti:

  • Suono (2, X-XIII): categoria sia fonetica che metrica: è l’armonia che si genera dalla composizione delle parole nella frase e dalla combinazione delle lettere nelle parole; in poesia, bisogna prendere in considerazione anche la disposizione delle rime nei versi, che Bembo discute nel dettaglio nei capitoli XI-XIII (vd. Bembo 1966, pp. 151-159).
  • Numero (2, XIV-XVII): lunghezza delle sillabe, sia data dalla quantità di lettere che le compongono, sia ottenuta attraverso gli accenti
    • Parole sdrucciole e tronche vengono considerate, rispettivamente, «leggere» e «ponderose» e vanno usate, secondo Bembo, con parsimonia. Le parole (e i versi) piani sono invece i più adatti a creare effetti di piacevolezza e gravità, che si generano in base alla presenza di vocali e consonanti piacevoli o gravi, come sono state definite in 2 X.
    • Maggiore è il numero di lettere in una sillaba maggiore è la gravità. In poesia avviene spesso di trovare una concentrazione di lettere maggiore rispetto alla prosa, effetto ottenuto anche grazie ai fenomeni del «mescolamento» (sineresi) e del «divertimento» (elisione) (vd. Bembo 1966, p. 167, n. 1).
  • Variazione (2, XVIII): abilità nel variare costrutti, artifici retorici ed effetti, per non cadere nella monotonia. 
  • Decoro (2, XIX): in linea con la retorica classica dell’equilibrio, consiste nella capacità di non scivolare, nel tentativo di raggiungere piacevolezza e gravità, rispettivamente nel “dissoluto” o nell’”austerità”.
  • Persuasione (2, XIX): è l’«occulta virtù che in ogni voce dimorando commuove altrui ad assentire a ciò che egli legge», in assenza della quale piacevolezza e gravità sono vane.