Pietro Bembo e le Prose della volgar lingua

2.1.8 Come riconoscere il buon volgare

Ma tornando alle nostre quistion d’hieri; per le quali fornire hoggi ci siamo qui venuti; io vorrei M. Carlo da voi sapere; poscia che detto ci havete, che egli si dee sempre nello scrivere a quella maniera, che è migliore, appigliarsi; o antica et de passati huomini che ella sia, o moderna et nostra; in che modo et con qual regola hass’egli a fare questo giudicio; et a quale segno si conoscono le bone Volgari scritture dalle non buone; et tra due buone quella, che più è migliore, et quella che meno; et in fine di questa medesima forma di componimenti, della quale si ragionò hieri, de presenti Thoscani huomini; et voi dite non essere così buona, come è quella, con la quale scrisse il Boccaccio et il Petrarcha; perché si dee credere et istimare che così sia? (Prose 2 III, c.XXVIIIr)


Nella seconda giornata di dialogo, Carlo Bembo e Federico Fregoso cercano di rispondere a Ercole Strozzi, illustrandogli i criteri attraverso cui giudicare una buona lingua volgare. Dopo aver rapidamente risolto l’ultimo quesito posto da Strozzi, spiegato attraverso il binomio bontà-fama (Prose 2 V, c.XXVIIIv), Carlo avvia la trattazione:

Io non so già M. Hercole, rispose mio Fratello, se io così hora le potessi tutte raccogliere interamente; le quali sono senza fallo molte particolarmente et minutamente considerate. Ma le generali possono esser queste, La materia o Suggetto che dire vogliamo, del quale si scrive: et la forma o apparenza, che a quella materia si dà; et ciò è la scrittura. Ma percioché non della materia, dintorno alla quale alcuno scrive; ma del modo, col quale si scrive, s’è ragionato hieri, et ragionasi hoggi tra noi; di questa seconda parte favellando dico, ogni maniera di scrivere comporsi medesimamente di due parti: L’una delle quali è l’elettione; l’altra è la dispositione delle voci (Prose 2 IV, c.XXIXr).

Nel giudizio sulla lingua, quindi, Bembo attribuisce una priorità assoluta alla componente formale, attingendo dalla retorica classica le categorie di elezione e disposizione e, più avanti nel dialogo, di piacevolezza, gravità, variazione, decoro e persuasione. All’applicazione di questo criterio stilistico è subordinata anche la lettura dell’opera di Boccaccio (Prose 2 XIX, c.XLVIIIr), nel momento in cui le riserve espresse nei confronti della materia affrontata in certi luoghi del Decameron e della produzione poetica dell’autore vengono compensate dalla sua grandezza stilistica. Allo stesso modo, la posizione di quanti si sono schierati a favore della poesia dantesca nel dibattitto sulla superiorità di Dante rispetto a Petrarca, subordina, secondo Bembo, la materia alla forma (Prose 2 XX, c.XLIXv).