Pietro Bembo e le Prose della volgar lingua
2.1.5 La nascita del volgare
L’argomentazione di Strozzi si fonda, in parte, sulla convinzione che il volgare fosse già in uso al tempo dei Romani, e disprezzato da essi in quanto lingua corrotta, bassa, popolare. Quest’affermazione apre una sezione del dialogo dedicata alla ricostruzione dell’origine del volgare, affidata soprattutto a Fregoso, che ne spiega la genesi a partire dall’azione di superstrato esercitata dalle lingue parlate dai popoli barbarici:
Del come, non si può errare a dire, che essendo la Romana lingua et quelle de Barbari tra sè lontanissime; essi a poco a poco della nostra fora une, hora altre voci, et queste troncamente et imperfettamente pigliando, et noi apprendendo similmente delle loro, se ne formasse in processo di tempo, et nascessene una nuova: la quale alcuno odore et dell’una e dell’altra ritenesse; che quella Volgare è, che hora usiamo: la quale se più somiglianza ha con la Romana, che con le Barbare havere non si vede; è perciò, che la forza del natio cielo sempre è molta, et in ogni terra meglio mettono le piante, che naturalmente vi nascono; che quelle, che vi sono di lontan paese portate (Prose 1 VII, cVIIIr).
Le argomentazioni di Strozzi e Fregoso riprendono tesi che avevano trovato una prima formulazione nel Quattrocento: la tesi cosiddetta «pseudobruniana» e la ricostruzione suggerita da Biondo Flavio. La prima riprende, travisandola, la teoria formulata da Leonardo Bruni, che aveva sostenuto che al tempo di Roma si parlasse non un latino omogeneo e uguale per tutti, ma due livelli di lingua, uno “alto” e uno “volgare”. Nella seconda si sostiene, invece, che il volgare sia nato dalla contaminazione del latino avvenuta per effetto delle invasioni barbariche: ci troviamo, quindi, di fronte a una concezione del volgare come lingua del decadimento, che, però, secondo Bembo, può essere – ed è stata – riscattata dai grandi scrittori.